Ailano: area archeologica.
• Ubicazione del sito: in località Santa Maria in Cingla
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli - Ufficio scavi di Alife Via Napoli-Roma n. 119 tel. 0823787005
• Modalità di accesso: liberamente visibili
Scarse sono le notizie sul territorio di Ailano nell'antichità. Ritrovamenti sporadici (un pugnale e punte di frecce) ne attestano la frequentazione in età eneolitica.
All'età sannitica risalgono alcune tombe rinvenute in località Grotta di Coscina e Colle di Sabelluccio. Il rinvenimento di alcune statuette bronzee in località Zappini attesterebbero l'esistenza di un luogo di culto preromano. In località Santa Maria in Cingla sono visibili alcune mura dell'epoca romana non meglio identificate.
Alife: area archeologica.
• Ubicazione del sito: le mura romane cingono l'attuale abitato all'interno delle quali sono facilmente raggiungibili gli altri resti; i mausolei di Madonna delle Grazie e Torrioni sono a circa 2 km dall'abitato sulla strada per Prata.
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli- Ufficio scavi di Alife tel. 0823787005
• Modalità di accesso: le mura ed i resti del Foro sono liberamente visibili; le terme nella cripta della Cattedrale sono visibili dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 19 (ingresso gratuito); il riptoportico edil teatro sono visibili rivolgendosi alla Soprintendenza. I mausolei sono liberamente visibili.
Alife, cittadina ubicata nell'ampia valle del Volturno, conserva ancora inalterato l'impianto urbanistico dell'antica città romana. La sua origine sembrerebbe osco-sannitica, come dimostra il fatto che Plinio il Vecchio elenca gli Alifani fra le popolazioni discendenti dagli Osci. La città sembra che in origine fosse chiamata "Allibo" (nel significato di "olio" per la presenza dei numerosi uliveti che ancora oggi ne caratterizzano il paesaggio) e, intorno al 380-350 a.C., sembra che coniasse moneta propria (due esemplari sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli), sebbene gli studiosi non siano concordi su tale tesi.
Nel 326 a.C. la città venne conquistata e distrutta dai Romani. Sullo stesso luogo venne poi eretta un nuovo centro, Allifae, nominato municipio sine suffragium (senza diritto di voto) nel 307 a.C. e poi successivamente cittadina romana a tutti gli effetti. Centro popoloso e fiorente per l'agricoltura, la pastorizia ed il commercio, venne poi distrutto nel IX secolo dai Saraceni e ripopolato in età moderna.
Dell'antica città sannitica rimangono soltanto alcune tombe portate alla luce nella necropoli in località Conca d'Oro.
Dell'età romana resta, invece, praticamente intatta la struttura urbanistica ad impianto ortogonale racchiusa da possenti mura a pianta rettangolare (m. 540x405). Quelle attualmente visibili risalgono al I sec. a.C. nella loro parte inferiore in opera incerta di calcare, ed al periodo medioevale (forse longobardo o angioino) nella loro parte superiore. L'altezza attuale è di circa 7 metri, ma occorre tener presente che altri 2 metri sono interrati. Su ciascuno dei quattro lati presentano una porta (Porta Napoli, Porta Piedimonte, Porta Roma, Porta Volturno), nonché alcune postierle. Ciascuna porta era sormontata da bastioni quadrati in buona parte distrutti, mentre lungo le mura erano mezze torrette quadrate o circolari.
All'interno della città le strade erano organizzate in maniera ortogonale. La via principale che univa Porta Napoli a Porta Roma era chiamata Decumano Massimo, mentre quella che univa le altre due porte era denominata Cardine Massimo.
Provenendo da Caserta, si accede alla città da Porta Napoli, immettendosi sulla strada che ricalca l'antico Decumano Massimo, attuale Via Roma. Sul lato destro è possibile raggiungere in Via Criptoportico, l'accesso ai resti del Criptoportico, costruito in opera incerta con pianta su tre bracci rettangolari collegati. Lo spazio interno è suddiviso in due navate da una fila di 31 pilastri che sorreggono volte semiogivali. Probabilmente la costruzione aveva funzione di sostegno di un edificio soprastante.
Tornati sul Decumano, all'altezza dell'Ufficio Postale centrale, è possibile scorgere i resti, di recente portati alla luce, di alcune "tabernae" che si affacciavano sull'area del foro, corrispondente all'attuale Piazza O. Michi. In detta piazza il Decumano Massimo incrociava il Cardine principale. Seguendo la strada a destra si giunge a Porta Piedimonte, meno interrata rispetto alle altre, che mostra bei piedritti e, sul fianco, una torre quadrata.
Ritornati in Piazza Michi, si prosegue dritto giungendo a Piazza Vescovado dove si affaccia la Cattedrale dell'Assunta. Nella facciata sono due epigrafi, una delle quali ricorda M. Granio, e M. F. Urbano, esponente di una ricca famiglia alifana. La cripta della chiesa sorge su un'aula termale romana della quale si osserva parte del pavimento con le tipiche "suspensurae".
Usciti dalla chiesa, poco oltre sono i resti del teatro risalente all'età sillana e successivamente restaurato nel corso del I secolo d.C. Proseguendo oltre, si raggiunge Porta Roma, sorretta da grandi piedritti nei quali si osservano gli incassi per le saracinesche. Da questo punto si possono seguire le mura verso sinistra, raggiungendo l'ultima porta, Porta Volturno, nella quale è possibile ammirare un fregio d'armi reimpiegato e proveniente da qualche monumento funerario.
Appena fuori Porta Napoli, in direzione Caserta, si può osservare l'area occupata dall'anfiteatro della città romana che è ancora del tutto da scavare (si scorge soltanto qualche rialzo sul terreno) e che è stato individuato di recente grazie a riprese aeree. Tale monumento era conosciuto da due epigrafi rinvenute in città che narravano di giochi gladiatori e di caccia alle belve, giochi svolti generalmente nell'anfiteatro. Da altre fonti sappiamo anche dell'esistenza di un circo, non ancora individuato, ma che si suppone ubicato in questa stessa area.
Continuando sulla stessa strada, nella Piazza della Liberazione è un mausoleo sepolcrale romano attribuito alla famiglia degli Acili Glabrioni, trasformato nel corso del Duecento in chiesa di S. Giovanni Geroso limitano e poi in chiesa ai Caduti (1924). Diversi restauri negli anni trenta, ad opera del Maiuri, ne hanno recuperato buona parte dell'antica struttura, risalente al I secolo d.C. L'interno è a pianta circolare con otto nicchie rettangolari alle pareti. Lo strato di interro di circa un metro non consente di godere appieno del senso originario dello spazio interno, concepito come una sfera perfetta di circa 9 metri di diametro.
Nella vicina villa comunale sono esposti cippi funerari e resti di un impluvio di una domus romana.
Di fronte all'angolo orientale delle mure è il cosiddetto "Parco delle Pietre", dove sono sistemati sarcofagi e cippi funerari.
Seguendo la strada per Prata si giunge alla chiesetta della Madonna delle Grazie, costruita su un mausoleo funerario a base circolare. Proseguendo, poco lontano, è un altro mausoleo romano denominato Il torrione. Vi si riconosce un basamento quadrato alto 1,5 metri su di uno zoccolo a gradini, il tutto sormontato da un corpo cilindrico alto circa 8 metri.
Alvignano: area archeologica.
• Ubicazione del sito: nei pressi del cimitero ove sorge la chiesa di San Ferdinando
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta - Ufficio scavi di Alife tel. 0823787005
• Modalità di accesso: in parte liberamente visibili
Nel territorio di Alvignano, nei pressi della chiesa di San Ferdinando, dovette sorgere nell'antichità il centro di Compulteria, nel territorio del Medio Volturno. Di sicuro il centro era di origine sannitica come testimonia il ritrovamento di diversi reperti quali l’Artemis persica, oggi all'antiquarium di Piedimonte Matese.
Attualmente di Compulteria non è visibile alcun resto. Il suo ricordo affiora in una ventina di lapidi, nelle monete, e nei frammenti poderosi. La cinta muraria aveva quattro porte e vi erano notevoli edifici pubblici. Risaltava in essa il tempio di Giunone.
La chiesa di S. Ferdinando di Alvignano, già S. Maria di Compulteria, è una basilica del V-VI sec. Manca di transetto e l’abside, ampia e profonda, fa da sfondo alla navata, fiancheggiata da due navate laterali senza absidi. L’effetto è di spaziosità e di concentramento della visibilità sull’altare. Bellissime sono le transenne in alto sui finestroni, e belli i resti di mosaici venuti alla luce, in bianco e nero e colorati. Non vi è traccia di atrio e neanche di banchi, subsellia, per i sacerdoti e di cattedra per il vescovo, né di coro basso innanzi all’altare. Il lacunare mostra l’armatura del tetto. È costruzione strettamente essenziale, manifestante una fede teocentrica, che non vive di decorative distrazioni. Al tempo di Gregorio I già era senza vescovo. Pigliò il titolo attuale, dopo che il 27 giugno 1082 vi fu seppellito S. Ferrante d’Aragona, il principe pellegrino, poi vescovo di Caiazzo.
Calvi Risorta: i resti della città di Cales.
• Ubicazione del sito: la città di Cales si estende ai due lati della strada statale Casilina all'altezza della località Calvi Vecchia nel comune di Calvi Risorta (Ce)
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica Napoli - Ufficio di Calvi Risorta Via Cales n.44 tel. 0823652533
• Modalità di accesso: i resti della città non sono recintati nè custoditi per cui l'accesso è libero, ma non tutti i monumenti citati sono facilmente accessibili. Per informazioni ci si può rivolgere anche al Gruppo Archeologico Agro Falerno-Caleno telefonando ai numeri 0823874003 e 0823877500.
Percorrendo l'attuale Via Latina, detta anche Via Casilina, a 14 km a nord di Capua si attraversa, senza quasi accorgersene, il territorio dell'antico e glorioso abitato di Cales. Il sito occupa un pianoro di quasi 64 ettari nel comune di Calvi Risorta, delimitato da due valloni percorsi dai torrenti Rio Pezzasecca e Rio dei Lanzi. L'area archeologica presenta poche, ma interessanti tracce visibili, mentre buona parte della città è ancora da portare alla luce.
• La storia della città.
Cales è fra i centri archeologici più importanti della Campania, sebbene la città sia stata indagata soltanto parzialmente. Frammentarie sono anche le notizie sulle origini di Cales: frammenti ceramici dell'età del bronzo sono stati rinvenuti in più punti dell'area urbana. Ma presumibilmente la fondazione della città risale al X-VIII sec. a.C., periodo al quale sono ascrivibili alcuni fondi di capanna rinvenuti in località Pezzasecca. Numerose sono anche le tombe dell'età del ferro (oltre 140) scavate a poca distanza dalla città.
Notizie certe di una dominazione etrusca sulla città non ve ne sono. Di sicuro Cales divenne colonia romana nel 334 a.C. a seguito della conquista da parte del console romano Marco Valerio Corvo. Abbandonata dai Romani dopo la disfatta delle Forche Caudine, venne nuovamente riconquistata nel 315 a.C. Devastata durante la terza guerra sannitica e successivamente durante la seconda guerra punica, subì gravi imposizioni dai Romani a seguito del rifiuto di fornire aiuti a questi ultimi contro Annibale.
Già dal III sec. a.C. la città ebbe una propria moneta ed intensa fu la produzione di ceramica a vernice nera, esportata anche in Spagna. Gli autori latini, da Strabone a Plinio e Giovenale, decantarono l'eccellente qualità del suo vino e delle sue acque. Ma l'importanza di Cales fu dovuta anche alla sua posizione, lungo la Via Latina, e si desume dai suoi imponenti monumenti pubblici quali l'anfiteatro, il teatro e le terme.
Al periodo di suo massimo splendore, Cales occupava l'intero terrapieno tufaceo avente lati di circa 1600x400 metri, delimitato dai torrenti Rio Pezzasecca e Rio dei Lanzi. Cinta da possenti mura, la città aveva un asse stradale principale (Cardo massimo) che l'attraversava in senso Nord-Sud, intersecato da strade perpendicolari (decumani), delle quali il Decumano massimo costituiva l'attraversamento cittadino della Via Latina che congiungeva Casilinum (l'odierna Capua) con Roma. Cales era poi collegata mediante altre strade con l'area di Calatia (Maddaloni) e e quella di Sinuessa (Mondragone) attraverso Forum Popili (Carinola) e Forum Claudi (Ventaroli).
La decadenza dell'Impero Romano portò ad un ridimensionamento di Cales che però non venne mai completamente abbandonata tanto che nel V sec. d.C. diventò sede vescovile e venne incorporata nel Ducato longobardo di Benevento.
• Cales antica.
L'itinerario di visita dei resti archeologici di Cales ha inizio dalla Cattedrale romanica di San Casto. Quest'ultima sorge sui resti di un tempio, da alcuni identificato con quello di Giano. Ne restano abbondanti materiali (colonne, iscrizioni, ecc.) reimpiegati soprattutto nella Cripta. Sul lato sinistro della Cattedrale si possono scorgere con difficoltà i resti semisommersi dalla vegetazione di un tratto delle mura urbane. Si tratta di una struttura larga 4,30 metri in blocchi di selce e calcare all'estremità della quale si nota l'impostazione di un arco, probabilmente appartenente ad una porta.
Si attraversa la Statale Casilina e si imbocca il viottolo di fronte. Percorsi pochi metri, sulla sinistra è un altro viottolo che porta in breve all'area dove sorgeva l'Anfiteatro. Attualmente è possibile scorgere una vasta e profonda depressione ellittica sul terreno con sporadiche murature (semicolonne in laterizio facenti parte dei portali di accesso nei lati Nord ed Est, parte del corridoio anulare). Risalente al I sec. a.C., esso aveva gli assi che misuravano m. 110x72 all'estremità dei quali si aprivano quattro porte monumentali. L'arena era sottoposta rispetto al piano di calpestio esterno. I sedili erano in tufo e vennero sagomati direttamente nel banco tufaceo esistente.
Si ritorna sul viottolo principale e lo si segue per alcuni metri. Prima di sottopassare l'autostrada, sulla destra è l'ingresso alle cosiddette Terme settentrionali, risalenti al II secolo d.C. e mai indagate compiutamente. E' possibile scorgerne il prospetto architettonico realizzato in opera mista, originariamente movimentato da finestroni e nicchie.
Si sottopassa l'autostrada giungendo ad un incrocio. Sul lato destro sono i resti di un arco che in origine costituiva l'accesso al Decumano Massimo da questo lato. Alle spalle dell'arco sono i resti di una cisterna di età imperiale.
Prendendo il sentiero a destra si raggiunge in breve la località Pezzasecca dove sono i pochi resti di una palestra del I secolo d.C. con grande piscina centrale (natatio) nonché della necropoli, purtroppo oggetto di scavi clandestini.
Tornati all'incrocio, si segue la stradina sulla sinistra, corrispondente all'antica Via Forma. Dopo pochi metri sulla sinistra della strada sono alcuni ambienti in reticolato con tracce di intonaco, forse pertinenti ad opere di fortificazioni. Dal lato opposto della strada si aprono invece le cosiddette Terme centrali, risalenti all'inizio del I sec. a.C. Costruite prevalentemente in opera quasi reticolata, avevano il prospetto ornato da semicolonne a basi attiche e capitelli ionici, in parte ancora in situ. Dall'unico ingresso scavato si accede ad un corridoio che immette nell'apoditerium ornato sui lati da colonnati con semicolonne ed affrescato in II° stile (restano poche tracce). Il pavimento era mosaicato con tessere bianche e nere.
Nella parte alta delle pareti restano tracce di quadri in stucco. La sala venne in epoca successiva adattata a frigidario. Affianco è la stanza del tepidario con nicchie rettangolari alle pareti. Si passa poi nel calidario con abside su uno dei lati lunghi. Dal tepidario si poteva inoltre passare in un ambiente quadrato con volta a botte e poi in un ambiente circolare con quattro nicchie rettangolari sormontate da archi. Un secondo calidario con vasca venne aggiunto in una fase successiva. Alle spalle degli ambienti era il praefurnium .
Ritornati all'incrocio si prende il sentiero di fronte leggermente sulla destra. Subito si incontra l'area dove sorgeva un tempio del I sec. d.C. Fino a pochi anni fa affiorava la parte anteriore del podio a due livelli di cui il superiore era ornato di una piattabanda in laterizio. Il tempio era periptero-esastilo lungo 26 metri e largo 15. Il colonnato esterno era di ordine corinzio.
• Incerta è l'identificazione. Alle spalle del tempio sorge il grandioso teatro di età repubblicana. Della costruzione originaria resta parte dell'analemma meridionale in opera incerta a grossi blocchi. La restante struttura venne rifatta in età sillana per consentirne l'ampliamento fino ad un diametro di oltre 70 metri. Particolare è la disposizione delle volte di sostegno della cavea che si sdoppiano in due ulteriori volte di luce minore andando verso l'esterno, unico esempio del genere finora rinvenuto.
Si ritorna per l'ennesima volta all'incrocio iniziale per seguire la stradina centrale. Dopo alcuni metri sulla destra sono i resti di un arco onorario. Più avanti sulla sinistra sono i resti di un edificio rettangolare con un lato semicircolare.
Continuando lungo la strada si scende dal terrapieno fino a varcare il Rio Pezzasecca sul Ponte delle Monache, tagliato nel tufo grigio e risalente ad età molto antica (IV sec. a.C.). Esso trova confronti soltanto con il Ponte Sodo di Veio.
Poco oltre il ponte, sulla destra, sono i resti di un edificio suburbano: si incontra prima una struttura in blocchetti di tufo, poi un arco a sesto ribassato in laterizi, infine una struttura in opera reticolata.
Infine è possibile, con qualche difficoltà, seguire il tracciato della cinta muraria, pur se non visibile integralmente. Si possono distinguere due fasi: lungo il lato orientale sono in opera quadrata ed anteriori alla conquista romana del 334 a.C.; sugli altri lati sono in opera incerta e quasi reticolata risalenti al II e I sec. a.C. Da alcune epigrafi si è venuto a conoscenza dell'esistenza di almeno sei porte (Somma, Marziale, Gemina, Stellatina, Leva, Domestica).
• Le necropoli di Cales.
Le necropoli di Cales, esplorate nel corso degli ultimi duecento anni, coprono un arco cronologico che va dal VIII sec. a.C. alla tarda età imperiale.
Le aree di necropoli di età arcaica e sannitica sono state individuate nell'area settentrionale della città, all'esterno della cinta muraria. Qualche sporadico rinvenimento si era avuto già negli anni passati, ma solo nel 1995-96 si sono avute campagne di scavo sistematico con il recupero di oltre un centinaio di tombe. Quelle appartenenti al periodo arcaico sono ad inumazione in casse di tufo. I corredi funerari recuperati testimoniano i contatti con gli Etruschi e con culture dell'Abruzzo. Tali corredi erano caratterizzati da materiale ceramico e da oggetti di ornamento personale. Fra le ceramiche sono da segnalare grossi vasi per derrate e vasi più piccoli da tavola di argilla, di impasto e di bucchero. Diffusa anche la ceramica a vernice rossa. Tra gli oggetti personali sono diffuse fibule di bronzo ed armille, mentre più rare sono le armi in ferro (spade, pugnali, lance).
Le tombe del periodo sannitico sono invece scavate nel tufo con copertura a lastre di tufo o a doppio spiovente. Nei corredi abbondano vasi a figure rosse e a vernice nera.
L'età romana fu invece caratterizzata dalla costruzione di monumenti funerari lungo le strade extraurbane. Fra i mausolei rinvenuti spicca quello attribuito da un'iscrizione rinvenuta in loco alla gens Calpurnia, risalente al III sec. a.C. Il monumento è ubicato ad Ovest della città lungo la Via Latina. Un'altra area funeraria si trova sotto la chiesa di San Casto Vecchio. Scavi effettuati nella zona Nord dell'edificio hanno portato al ritrovamento di una camera sepolcrale absidata in laterizio. Sotto il pavimento dell'abside sono venuti alla luce quattro sarcofagi con copertura a doppio spiovente, di cui uno in marmo bluastro, forse microasiatico, figurato con amorini cacciatori di lepri e Vittorie (risalente al 260-280 d.C.).
Capua: area archeologica.
Altera Roma, seconda Roma. Con queste parole Marco Tullio Cicerone definì nel I secolo a. C. l’antica Capua, l’odierna Santa Maria Capua Vetere. Le origini sono antichissime. Si sa che, mentre nell'VIII secolo a.C., i Greci fondavano sulla costa, Pithecusae (Ischia) e poi Cuma, nell'entroterra, già esisteva un primo nucleo dell’abitato. A fondarlo furono gli Etruschi. Secondo le fonti antiche, fu il centro più importante e vivace della Campania centro-settentrionale per molti secoli. Lo storico patavino Tito Livio, poi, la descrisse addirittura come la più grande e ricca città d’Italia. Qui si riposò il condottiero cartaginese Annibale durante la seconda guerra punica, i cui celebri ozi fiaccarono le virtù belliche del suo esercito.La fama della città, però, è irrimediabilmente legata ai gladiatori se non altro per la presenza a quell’epoca di due famosissime scuole e per la rivolta di Spartaco. Spartaco era un principe trace che aveva militato nell’esercito romano. Per aver disertato, fu ridotto in schiavitù e costretto a combattere nell’arena come gladiatore. Nel 73 a.C. era nella scuola capuana di Lentulo Baciato quando si mise a capo di una piccola schiera di gladiatori. Al primo nucleo si aggiunsero di volta in volta gli schiavi dei latifondi limitrofi. Da uno sparuto pugno di rivoltosi, il gruppo crebbe rapidamente fino al punto da raggiungere le 100 mila unità. I ribelli per diversi mesi tennero scacco l’esercito romano mettendo in ansia la stessa città di Roma, fino a quando il Senato dell’Urbe inviò alla testa di 10 legioni uno dei suoi migliori comandanti per sedare la rivolta, il proconsole Marco Licinio Crasso. Il generale romano affrontò gli schiavi in una battaglia campale presso il fiume Sele in Lucania. L’esercito dei ribelli fu sconfitto. I superstiti furono crocifissi lungo la via Appia.
A testimonianza della passata grandezza della città, oggi rimangono due monumenti su tutti: l’anfiteatro e il mitreo.L’anfiteatro campano fu costruito tra il I e il II secolo d.C. sui resti di quello precedente. Secondo per ampiezza soltanto al Colosseo, era formato da quattro livelli di arcate di ordine dorico ed aveva una splendida decorazione scultorea. La struttura, che misura all'esterno 167x137 metri, era dotata di quattro ingressi principali, in corrispondenza dei punti cardinali, e poteva ospitare fino a 60.000 spettatori. Vicino all’anfiteatro è stato recentemente inaugurato il nuovo Museo dei Gladiatori, ricavato ristrutturando l’ex Antiquarium. Con innovative soluzioni espositive, sono per la prima volta presentati al pubblico gli elementi decorativi superstiti dell’anfiteatro, conservati per decenni nei sotterranei e sotto le arcate dell'edificio.
E’ possibile visitare anche il vicino Mitreo, di grande interesse per lo studio della diffusione delle religioni orientali in Campania. L’edificio è un ambiente ipogeo costruito alla fine del II secolo d.C., dedicato al culto del dio persiano Mitra, rappresentato nell’affresco sul fondo della sala sotterranea, mentre sacrifica un toro.
Aperto tutti i giorni dalle 9 ad un’ora prima del tramonto:
2 gennaio – 15 gennaio 9–16
16 gennaio – 31 gennaio 9–16.20
1 febbraio – 15 febbraio 9–16.40
16 febbraio – 29 febbraio 9–17
1 marzo – 15 marzo 9–17.20
16 marzo – 31 marzo 9–17.40
1 aprile – 15 aprile 9–18
16 aprile – 30 aprile 9–18.20
2 maggio – 31 agosto 9–20
1 settembre – 15 settembre 9–18.30
16 settembre – 30 settembre 9–18
1 ottobre – 15 ottobre 9–16.40
16 ottobre – 31 ottobre 9–16.15
1 novembre – 30 novembre 9–16
1 dicembre – 31 dicembre 9–15.45
chiuso 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre.
La biglietteria chiude un'ora prima.
Circuito Santa Maria Capua Vetere
Valido 1 giorno per 3 siti: Museo dell'Antica Capua, Mitreo, Anfiteatro Campano e Museo dei gladiatori
Intero € 2,50
Ridotto € 1,25
Per i cittadini della Unione Europea tra i 18 e i 25 anni e per i docenti
Gratuito
per i cittadini della Unione Europea sotto i 18 e sopra i 65 anni
Visite per gruppi su prenotazione
orario a scelta
lingua a scelta fra: italiano, inglese, francese
numero max partecipanti 25
costo: € 80,00 in italiano, € 100,00 nelle altre lingue
durata: 1 ora e 30 minuti
Informazioni e prenotazioni 848800288 (dai cellulari 0639967050), dal lunedì al sabato 9–13.30 e 14.30–17
Carinola: abitato di Forum Claudi.
• Ubicazione del sito: la frazione Ventaroli è a 4 km da Carinola verso Nord. Alla Basilica si giunge tramite una stradetta dal centro del paese.
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli - Ufficio scavi di Sessa Aurunca Piazza Castello tel. 0823936455
• Modalità di accesso: i ruderi sono sparsi nelle campagne anche in fondi privati. La Basilica è visitabile rivolgendosi ai Vigili Urbani di Carinola.
A circa 4 km da Carinola è la frazione Ventaroli che nasconde un piccolo gioiello: la Basilica di Santa Maria in Foro Claudio (detta anche Episcopio) che ricorda moltissimo la Basilica di Sant’Angelo in Formis. Vi si arriva dal centro della frazione per una stradetta che rasenta alcuni ruderi romani: si tratta di quanto resta dell’abitato di Forum Claudi. Noto soltanto da poche fonti antiche, di questo centro restano avanzi del foro e delle mura e, presso la chiesa, di un monumento funerario ottagonale. La stessa chiesa è probabilmente costruita su resti romani o paleocristiani come dimostrano gli inserti murari a listelli di tufo e mattoni nella parte basamentale.
Marotta: il complesso romano di Giano Vetusto.
• Ubicazione del sito: lo scavo è in località Marotta; un pannello esplicativo è nella piazza del paese.
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli - Ufficio scavi di Calvi Risorta Via Cales n. 44 tel. 0823652533
• Modalità di accesso: i ruderi sono liberamente visitabili.
Il complesso scavato negli anni ottanta, inizialmente identificato con un tempio dedicato al Dio Giano, è in realtà un complesso artigianale risalente alla seconda metà del I secolo a.C. Il nucleo originario comprende una fornace a pianta rettangolare e corridoio centrale per la produzione di laterizi e anfore vinarie. Accanto ad essa vi erano due vasche rettangolari con pareti in opera mista.
Al primo secolo d.C. risalgono alcune cisterne in opera mista ed ulteriori vasche che confermerebbero un mutamento di destinazione dell'edificio a fullonica (tintoria).
Orta di Atella: area archeologica.
• Ubicazione del sito: la cinta muraria di Atella cinge un pianoro compreso fra i comuni di Sant'Arpino, Succivo, Orta di Atella e Frattaminore; il Castellone è lungo la strada Succivo-Caivano
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli - Ufficio scavi di Succivo Via Roma n. 5 tel. 081 5012701 e Ufficio scavi di Sant'Arpino Via D'Anna Palazzo Zarrillo tel. 0815013661
• Modalità di accesso: i resti sono liberamente visibili
Atella sorgeva su una terrazza naturale a sud del fiume Clanis (ora canalizzato), in buona parte nell'attuale abitato di Sant'Arpino, al confine con i comuni di Succivo, Orta di Atella e Frattaminore. L'abitato, di forma rettangolare, era delimitato da una cinta muraria in parte ancora esistente. All'esterno delle mura trovavano posto vaste necropoli osche, sannitiche e romane. Di probabili origini osche, appartenne alla confederazione delle città osche capeggiata da Capua. Nonostante questo carattere, la città mantenne una propria autonomia amministrativa battendo moneta propria con la scritta ADERL. Di Capua seguì le sorti nel 338 a.C., quando a seguito della conquista romana divenne municipio ed ebbe la cittadinanza senza diritto di voto. Nel 215 a.C., continuando a seguire Capua, si diede ad Annibale. Per questa sua insubordinazione, nel 211, quando fu riconquistata dai Romani, venne semidistrutta e metà del suo agro confiscato. Parte dei cittadini furono costretti ad esiliare a Calatia e le proprie case vennero invece occupate dai Nocerini che, a loro volta, avevano subito la furia devastatrice dell'esercito di Annibale. In età imperiale Atella si risollevò diventando un centro abbastanza florido come testimoniano i numerosi e ricchi edifici eretti in città come il teatro e l'anfiteatro ove, alla presenza di Augusto, Virgilio avrebbe letto le Georgiche.
Atella divenne famosa in tutto il mondo antico per un genere teatrale in lingua osca, le Fabulae Atellanae, antichissime farse popolari di carattere buffonesco e osceno. Di esse, rappresentanti i vari tipi contadini, sono rimaste note le maschere di Maccus il ghiottone (dal quale si fa discendere la maschera di Pulcinella), di Bucco il chiacchierone, di Pappus il vecchio scimunito, di Dossennus il gobbo astuto. Di ciò ne dà notizia Livio, ricordando che la gioventù romana riservò per sé tale tipo di rappresentazione, non permettendo che esse venissero interpretate da attori di professione. All'epoca di Silla le Atellanae, abbandonata l'improvvisazione, diventavano un genere letterario, principalmente per opera di Lucio Pomponio e di Novio.
Nei primi secoli del Cristianesimo, Atella divenne Sede Vescovile ed il suo vescovo più famoso fu S. Elpidio che, durante la persecuzione dei Vandali, giunse ad Atella ove, immediatamente fuori le mura di questa, avrebbe fondato una Chiesa nel 455 d.C., al momento della distruzione della Città da parte dei Vandali di Genserico.
L'antica città è oggi ancora tutta da scavare. Attraverso diversi rinvenimenti succedutisi negli ultimi secoli, è stato possibile individuare il perimetro dell'antico centro del quale restano in parte visibili alcuni tratti delle mura. All'interno della cinta muraria, a vista resta solo il cosiddetto Castellone, rudere di una vasta aula termale in opera reticolata del II secolo a.C.
Un progetto di parco archeologico, che consentirebbe l'inizio degli scavi, dovrebbe a breve vedere la luce.
Presenzano: resti della città di Rufrae o Rufrium.
• Ubicazione del sito: i resti della fortificazione sannitica sono identificabili in paese lungo la fortificazione medievale; i resti dell'abitato romano sono in località San Felice, lungo la Via Casilina non appena si svolta per Presenzano.
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli - Ufficio scavi di Teano Piazza Umberto I tel. 0823 657302
• Modalità di accesso: tutti i resti descritti sono liberamente visibili; per i resti romani occorre fare attenzione a rovi ed erba alta.
Lungo la Via Latina, sul luogo dell'attuale Presenzano, in posizione altamente strategica per il controllo delle vie di accesso al basso Lazio, all'alta e media valle del Volturno, al Sannio, all'area Calena, sorse già dal VI secolo a.C. un centro fortificato, identificato come Rufrae. L'abitato più antico, creato dai Sanniti, sorse sull'area dell'attuale paese, a valle del quale si sono rinvenuti una necropoli della prima metà del Vi secolo a.C. ed un santuario frequentato fra il VI ed il III secolo a.C. Presa dai Romani nel 326 a.C., l'abitato si spostò verso la pianura, lungo la Via Latina, dove sorse un nuovo piccolo insediamento. Ricordata da Virgilio e da Silio Italico, Rufrae fu un "vicus" piuttosto che una città vera e propria. Essa era nota soprattutto per la produzione di frantoi in lava di Roccamonfina. Con l'arrivo dei Saraceni la città si spostò nuovamente nella posizione originaria dove ancora oggi è possibile ammirare il castello.
Tratti della fortificazione sannitica sono visibili in paese lungo la murazione medioevale. Della città romana, ubicata in località San Felice, vi sono alcuni resti appena si svolta dalla Casilina per Presenzano, sulla sinistra in un campo cinto da una palizzata in legno. Un primo edificio, forse un magazzino, presenta l'ingresso chiuso da un cancello, ma l'interno è ben visibile. Sulla sinistra sono gli avanzi dell'anfiteatro, solo in parte esplorato. Costruito in età augustea, subì rifacimenti e restauri nel II e nel V sec. d.C. Si presenta con un solo ordine di posti a sedere ai quali si accedeva tramite scalette interne. Forse possedeva un ordine superiore di posti in legno. Appena si accede all'interno, si scorge una delle scalette di accesso alla cavea. Si nota poi il corridoio di passaggio a volta sotto la cavea con ambienti di servizio laterali ed un'altra scaletta. Il piano dell'arena era più in basso dell'attuale pianodi campagna e sembra che non vi fossero corridoi sottostanti. Alle spalle dell'anfiteatro sono i muri di sostegno di una terrazza panoramica di forma rettangolare circondata da un porticato. Il tutto costituiva un complesso architettonico unitario, unico nel suo genere. Nella campagna si scorgono anche tratti di un acquedotto.
Treglia: resti della città di Trebula Balliensis o Balliniensis.
• Ubicazione del sito: i resti della fortificazione sono identificabili in vari ounti; i resti del teatro sono in località La Corte.
• Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli - Ufficio scavi di Calvi Risorta Via Cales n.44 tel. 0823 652533
• Modalità di accesso: tutti i resti descritti sono liberamente visibili, ma di difficile accesso.
L'abitato di Trebula sorse per opera nei Sanniti intorno al IV sec. a.C. a controllo della strada che attraversava i Monti Trebulani per passare dalla pianura della Casilina all'area di Dragoni ed Alife. Probabilmente l'insediamento sorse esclusivamente come fortificazione, sviluppandosi poi successivamente come centro abitato. Datasi ad Annibale, dopo la vittoria a Canne, la città venne poi presa da Fabio Massimo. Fu municipio romano assumendo il nome di Trebula Balliensis o Balliniensis. Al di fuori delle normali vie di comunicazione, la città visse essenzialmente di pastorizia ed agricoltura (rinomata la produzione del vino Trebulanum). Venne poi distrutta dai Saraceni nel IX secolo.
Il circuito murario è ancora oggi in buona parte visibile. Si tratta di un circuito con muro a scarpata in blocchi di calcare levigati che, con un perimetro di 1800 metri, racchiudono un'area di circa 200.000 metriquadri a 467 metri di altezza s.l.m. Lungo le mura si riconoscono una porta e diverse postierle.
All'interno del circuito murario alcuni scavi vennero eseguiti nel corso del '700 da Lord Hamilton, ambasciatore d'Inghilterra a Napoli e gran collezionista di antichità, ed alla fine dell'800. Essi portarono alla luce una gran quantità di materiali (marmi, iscrizioni, bronzi, terrecotte, vasi, monete) ed i resti di un acquedotto e di un piccolo teatro, oggi poco riconoscibile. |